Venerdì 15 luglio 2022 – 687a Manifestazione
Il Panathlon Club Forlì si è ritrovato nella terrazza panoramica del Grand Hotel di Cesenatico venerdì 15 luglio, alle ore 20,30, per incontrare
Arrigo Sacchi
l’indimenticabile “profeta di Fusignano”.
Prendendo spunto dai due libri che il grande allenatore ha dato alle stampe, “Calcio totale” e “La coppa degli immortali”, la serata ha avuto quali argomenti predominanti le vicende personali e, soprattutto, quelle legate al leggendario Milan di fine anni Ottanta, con spazio anche per le domande legate all’ attualità, quali il calciomercato e le ipotesi su chi si aggiudicherà il prossimo anno il campionato.
L’evento, fortemente voluto dal presidente del sodalizio forlivese, Marilena Rosetti, ha rappresentato l’ultimo atto prima della pausa estiva delle attività del Club, che riprenderanno poi a partire dal mese di settembre.
Arrigo Sacchi con la presidente Marilena Rosetti
Arrigo Sacchi ha parlato “a tutto campo”, anche rispondendo alle molte domande dei partecipanti.
Quale squadra vincerà il prossimo campionato di calcio?
“Nessun dubbio: una tra Juventus, Inter e Milan. Ma quest’ultimo dovrà per forza giocare bene, se vorrà prevalere sulle avversarie”.
Arrigo Sacchi ha le idee chiare e non lascia spazio alle altre contendenti: “Non credo proprio – ha infatti aggiunto – che ci saranno delle sorprese”.
Di fronte ad un pubblico numeroso e attento, il “profeta di Fusignano” ha sciorinato per oltre un’ora il meglio del proprio repertorio, non solo ricordando i tempi del suo Milan “degli immortali” (definizione che richiama il titolo di una sua pubblicazione) ma anche concedendosi considerazioni legate alla stretta attualità, come la crisi di governo.
Ma andiamo per ordine. Sacchi è partito spiegando quale sia stato il segreto del suo successo: “Per il 90 per cento ho puntato su studio, lavoro, pianificazione e rinnovamento, ma per il restante 10 per cento mi sono affidato alla follia, indispensabile per riuscire a realizzare il mio sogno di costruire un nuovo modo di giocare al calcio, che andasse contro la mentalità dominante che era quella di difendersi e poi ripartire sfruttando gli errori degli avversari. Questa si chiama tattica, io invece volevo imporre una strategia, cioè quella di attaccare senza soste con un pressing asfissiante, per imporre e dominare il gioco. Per me non c’è merito se si vince senza giocare bene”.
Sacchi ha poi raccontato di essere diventato allenatore grazie al bibliotecario di Fusignano, Alfredo Belletti, uomo coltissimo, vero e proprio maestro di vita: “Verso i 19 anni, mi resi conto che non sarei mai diventato un grande giocatore, per cui decisi di smettere di giocare. A quel punto fu lui che mi suggerì di diventare allenatore; io gli risposi che non ero in grado di ricoprire tale ruolo ma lui mi spronò ugualmente a tentare. E così, nel giro di un mese, parlavo già come un vero allenatore”.
La partita più bella? “Difficile dirlo, però almeno tre le ricordo bene: le due partite disputate contro il Napoli di Maradona nella mia prima stagione al Milan conclusasi con la conquista dello scudetto, e quella vinta contro il Real Madrid per 5 a 0 l’anno dopo, quello in cui vincemmo la Coppa dei Campioni”.
Il giocatore più forte? “Anche qui è quasi impossibile scegliere. Van Basten è stato il più tecnico, Gullit il più potente fisicamente, Baresi il leader della squadra. Ma potrei citare anche altri “.
Capitolo Nazionale: dopo tanto tempo, ci sono rimpianti per il secondo posto ottenuto nel campionato del mondo giocato negli USA nel 1994? “Nessun rimpianto. Abbiamo perso ai rigori ma è stato giusto così, perché il Brasile ha giocato meglio di noi. Abbiamo dato il massimo, di più non potevamo fare”.
Cosa ci vorrebbe oggi per rilanciare la Nazionale, esclusa per la seconda volta consecutiva dalla fase finale del campionato mondiale? “A mio avviso – ha spiegato Sacchi – ci vorrebbe un nuovo stile. Faccio un esempio: a Fusignano vi sono ancora case coloniche a fianco di abitazioni, diciamo così, “esotiche”. Stanno bene assieme? Non credo proprio. Ecco, ci vorrebbe un comportamento più lineare, un’idea precisa, uno stile unitario anche nel calcio, fatto di etica del lavoro, impegno, correttezza, responsabilità, dedizione, passione, amore, costante ricerca e innovazione”.
Come si fa per attuare tutto questo? “Occorre ripartire dalle scuole, per insegnare ai giovani i giusti comportamenti. Solo così possiamo sperare in una rinascita non solo dell’ambito sportivo ma dell’intero Paese”.
A cura di M. Gioiello
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